lunedì 15 settembre 2014

Dalai Lama - I 18 principi della vita



  1. Tieni sempre conto del fatto che un grande amore e dei grandi risultati comportano  un grande rischio.
  2. Quando perdi, non perdere la lezione.
  3. Segui sempre le 3 "r": rispetto per te stesso, rispetto per gli altri, responsabilità per le tue azioni.
  4. Ricorda che non ottenere quello che si vuole può essere talvolta un meraviglioso colpo di fortuna.
  5. Impara le regole in maniera che tu possa infrangerle in modo appropriato.
  6. Non permettere che una piccola disputa danneggi una grande amicizia.
  7. Quando ti accorgi di aver commesso un errore, fai immediatamente qualcosa per correggerlo.
  8. Trascorri un po' di tempo da solo ogni giorno.
  9. Apri le braccia al cambiamento ma non lasciar andare i tuoi valori.
  10. Ricorda che a volte il silenzio è la migliore risposta.
  11. Vivi una buona e amorevole vita, in maniera tale che, quando ci ripenserai da vecchio, potrai godertela una seconda volta.
  12. Un'atmosfera amorevole nella tua casa dev'essere il fondamento della tua vita.
  13. Quando ti trovi a dover affrontare un problema con le persone a te care, affronta solo il problema attuale senza tirare in ballo il passato.
  14. Condividi la tua conoscenza. E' un modo di raggiungere l'immortalità.
  15. Sii gentile con la Terra.
  16. Almeno una volta all'anno vai in un posto in cui non sei mai stato prima.
  17. Ricorda che il miglior rapporto è quello in cui ci si ama più di quanto si abbia bisogno l'uno dell'altro.
  18. Giudica il tuo successo in funzione di ciò a cui hai dovuto rinunciare per ottenerlo



lunedì 26 maggio 2014

Perché è necessario capire la verità?

Gran parte del nostro far progetti è come attendere
di nuotare in un fiume in secca.
Molte delle nostre attività sono come rigovernare la casa
in un sogno.
Nel delirio della febbre non si riconosce la febbre.
PATRUL RINPOCHE, La parola sacra
 





 
Da "Conosci te stesso" del Dalai Lama.
 
Se non hai una comprensione intuitiva del modo in cui tu e tutte le cose siete effettivamente, non puoi riconoscere e rimuovere né gli ostacoli che si frappongono alla liberazione dall'esistenza ciclica né, cosa ancora più importante, gli intralci che ti impediscono di aiutare gli altri. Senza intuizione non puoi affrontare alcun problema alla radice né eliminare i semi che potrebbero riprodurlo in futuro.
Per superare la concezione erronea secondo cui cose e individui esistono come entità autosufficienti, indipendentemente dalla coscienza, è essenziale osservare la propria mente al fine di scoprire come questo errore è stato concepito e come, con il sostegno di una simile ignoranza, sorgono altre emozioni distruttive. Poiché la bramosia, l'odio, l'orgoglio, la gelosia e la rabbia derivano dall'esagerazione dell'importanza di qualità come la bellezza o la bruttezza, è fondamentale capire in che modo persone e cose esistono effettivamente, senza esagerazione.
L'unica via per raggiungere questa comprensione è interiore. Devi abbandonare le false convinzioni che vai sovrapponendo al modo in cui le cose sono realmente. Non esistono mezzi esterni per eliminare la bramosia e l'odio. Se una spina ti si è conficcata nella carne, puoi rimuoverla per sempre con un ago, ma per sbarazzarti di un atteggiamento interiore, devi vedere chiaramente le convinzioni erronee su cui esso si fonda. Ciò richiede l'uso della ragione per esplorare la vera natura dei fenomeni e poi concentrarsi su ciò che è stato comp0reso. Questo è il sentimento che conduce alla liberazione e all'onniscienza. Come dice Dharmakirti:
 
Se non si smette di credere all'oggetto di un'emozione afflittiva non lo si potrà abbandonare.
L'abbandono del desiderio, dell'odio e di altro ancora, che sono collegati ad una percezione erronea di vantaggi e svantaggi,
dipende dal non vederli negli oggetti, non da condizioni esterne.
 
Quando constaterai che tutte le emozioni problematiche - e in realtà tutti i problemi - nascono da una comprensione erronea di fondo, vorrai liberarti di una simile ignoranza. Il mezzo per farlo consiste nel riflettere sulla logica che rivela l'assoluta infondatezza della sovrapposizione di una credenza di esistenza intrinseca, e successivamente nel concentrarsi sulla vacuità di esistenza intrinseca per mezzo della meditazione. Chandrakirti dice:
 
Vedendo con la mente che tutte le emozioni afflittive e i difetti sorgono dal considerarsi dotati di esistenza intrinseca e dal sapere che il sé ne costituisce l'oggetto, gli yogi rifiutano la loro esistenza intrinseca.
 
Analogamente Aryadeva sostiene che il riconoscimento dell'assenza del sé è il modo per interrompere l'esistenza ciclica:
 
Quando si vede negli oggetti l'assenza del sé
il seme dell'esistenza ciclica è distrutto.
 
Quando le radici di un albero vengono tagliate, tutti i rami, i germogli e le foglie si seccano. Allo stesso modo, tutti i problemi dell'esistenza ciclica vengono rimossi eliminando la comprensione erronea che ne è la causa.
In India, i massimi studiosi e praticanti compresero che la verità non può essere riconosciuta se non ci accorgiamo che assegniamo alle persone e alle cose una condizione di concretezza e di permanenza che in realtà non esiste. Bisogna comprendere la vacuità di questa falsa sovrapposizione.

sabato 7 dicembre 2013

I principi di uguaglianza e reciprocità e la pratica della moralità


La diffusione del buddismo nel mondo occidentale è dovuta principalmente al suo punto di vista estremamente pratico, direi quasi scientifico. Gli insegnamenti del Buddha non si perdono in futili speculazioni esistenziali; ogni problema viene analizzato secondo le cause che lo hanno generato e per ogni causa vengono individuate le possibili soluzioni.

Pertanto, nel definire la moralità, il "cosa è giusto", non ci aspettiamo chissà quale pensiero astratto e profondo: essa può essere derivata a partire dall'esperienza personale.
E' l'esperienza personale a indicarci la retta via. In che modo? Per mezzo di due principi che stanno alla base di buona parte del pensiero buddista: il principio di uguaglianza e quello di reprocità.

Il principio di uguaglianza sostiene che tutti gli esseri viventi sono fondamentalmente simili per quanto riguarda il loro orientamento e la loro predisposizione. Sono simili nel ricercare la felicità, sono simili nell'evitare la sofferenza, sono simili nel temere la morte e la malattia. Tale principio è la base del principio di reciprocità.

La reciprocità si basa sul: "Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te stesso". Dal momento che siamo tutti molto simili, il giusto modo di comportarsi, un comportamento moralmente corretto, è quello che ci viene fornito dalla nostra esperienza quotidiana: come noi non vogliamo essere offesi, derubati, feriti o uccisi, così nessun altro lo vorrebbe. Il comportamento morale pertanto è quello che permette agli altri di sfuggire a ciò che non vorremmo fosse fatto a noi.

I passi dell'ottuplice cammino, cosiddetti della moralità, ovvero Retta Parola, Retta Azione e Retto Sostentamento, vanno letti esattamente in tale ottica.
"Non mentire così come non vorresti che gli altri ti mentissero"
"Non sparlare alle spalle degli altri così come non vorresti che gli altri sparlassero alle tue"
"Non usare parole offensive nel rivolgerti a chi ti sta vicino così come non vorresti che essi ti offendessero"
"Rispetta la vita di tutti gli esseri viventi come vorresti che la tua fosse rispettata"
"Rispetta la proprietà di chi ti sta attorno così come vorresti che la tua fosse rispettata"
"Evita l'abuso dei sensi e rispetta i rapporti personali"
"Guadagnati da vivere ma non violare tutti gli altri valori morali. Sii onesto e rispetta la vita"

La pratica della moralità rappresenta solo il primo passo verso l'illuminazione. Tuttavia, essa permette di raggiungere quel senso di tranquillità interiore, di stabilità, di sicurezza e di forza, requisito indispensabile per procedere al prossimo stadio della Via della liberazione: lo sviluppo mentale.

sabato 23 novembre 2013

Abraham Lincoln’s letter to his son’s Head Master

Abraham Lincoln’s letter to his son’s Head Master

Respected Teacher,

My son will have to learn I know that all men are not just, all men are not true. But teach him also that for ever scoundrel there is a hero; that for every selfish politician, there is a dedicated leader. Teach him that for every enemy there is a friend.

It will take time, I know; but teach him, if you can, that a dollar earned is far more valuable than five found.

Teach him to learn to lose and also to enjoy winning.

Steer him away from envy, if you can.

Teach him the secret of quite laughter. Let him learn early that the bullies are the easiest to tick.

Teach him, if you can, the wonder of books.. but also give him quiet time to ponder over the eternal mystery of birds in the sky, bees in the sun, and flowers on a green hill –side.

In school teach him it is far more honourable to fail than to cheat.

Teach him to have faith in his own ideas, even if every one tells him they are wrong.

Teach him to be gentle with gentle people and tough with the tough.

Try to give my son the strength not to follow the crowd when every one is getting on the bandwagon.

Teach him to listen to all men but teach him also to filter all he hears on a screen of truth and take only the good that comes through.

Teach him, if you can, how to laugh when he is sad. Teach him there is no shame in tears. Teach him to scoff at cynics and to beware of too much sweetness.

Teach him to sell his brawn and brain to the highest bidders; but never to put a price tag on his heart and soul.

Teach him to close his ears to a howling mob… and to stand and fight if he thinks he’s right.

Treat him gently; but do not cuddle him because only the test of fire makes fine steel.

Let him have the courage to be impatient, let him have the patience to be brave. Teach him always to have sublime faith in himself because then he will always have sublime faith in mankind.

This is a big order; but see what you can do. He is such a fine little fellow, my son.


Abraham Lincoln.

attribution http://www.citehr.com/48490-values-abraham-lincolns-letter-his-sons-teacher.html#ixzz2lU6vUc78

giovedì 19 settembre 2013

Dalai Lama - L'appagamento interno

Da L'arte della felicità del Dalai Lama con H.C.Cutler

"A volte mi sembra che l'intera civiltà occidentale si fondi sull'acquisizione di oggetti materiali: siamo circondati, bombardati dalla pubblicità che reclamizza i prodotti più recenti, come auto e altri beni di consumo. E' difficile non farsi influenzare. Le cose che vogliamo e desideriamo sono così tante da apparire un numero infinito. Che cosa pensa del desiderio?"
"I desideri, credo, sono di due tipi" rispose il Dalai Lama "Alcuni sono positivi, come il desiderio della felicità, che è giustissimo. Assai proficui sono anche altri, come quello della pace o di un mondo più buono e armonioso.
Ma a un certo punto i desideri possono diventare irragionevoli e, quando questo succede, di solito nascono problemi. In certe occasioni, per esempio, io entro nei supermercati. Mi piace molto visitarli, perché vedo tante belle cose. Ed ecco che, guardando la grande varietà di articoli, maturo un senso di desiderio e d'impulso posso dire: "Oh, voglio questo e quello". Poi però ci penso meglio e mi chiedo: "Ma ho davvero bisogno di tali oggetti?". E la risposta di solito è no. Se si segue il primo desiderio, l'impulso iniziale, presto si rimane con le tasche vuote. Un altro tipo di desiderio, quello dettato da bisogni essenziali come mangiare, ripararsi e vestire, è invece del tutto ragionevole.
A volte il giudizio sulla natura equa oppure smodata e negativa del desiderio dipende dalle circostanze o dalla società in cui si è inseriti. Lei, per esempio, vive in una società prospera dove bisogna disporre di un'automobile per cavarsela nella vita quotidiana; perciò è chiaro che in tale contesto non è un male desiderare una macchina. Ma se si abita in un povero villaggio dell'India nel quale si può stare benissimo senza l'auto, e tuttavia se ne desidera una, anche se si avesse il denaro per comprarla alla fine si rischierebbero conseguenze negative, perchè i vicini potrebbero provare un senso di fastidio. Oppure se si vive in una società prospera e si ha un'auto ma si continua a desiderarne di più costose, ecco che insorgono analoghi problemi."
"Ma non vedo quali inconvenienti procuri il volere o comprare una macchina più bella se possiamo permettercela" obiettai. "Il mio possedere un'auto più cara di quella dei vicini rappresenterà un problema per loro, che potrebbero provare invidia, ma per me, personalmente, sarebbe una fonte di soddisfazione e godimento."
 Scuotendo la testa, il Dalai Lama replicò con fermezza: "No. La soddisfazione personale, di per sè, non garantisce la positività o negatività di un'azione o di un desiderio. Un assassino può provare un senso di soddisfazione nel momento in cui commette l'omicidio, ma ciò non giustifica il suo atto. Tutte le azioni non virtuose, come mentire, rubare, commettere adulterio e così via, nel momento in cui vengono compiute possono procurare soddisfazione all'individuo che se ne rende responsabile. La linea di demarcazione tra un desiderio o un'azione positivi e un desiderio o un'azione negativi non è data dal senso di immediata soddisfazione che essi danno, ma dalle conseguenze positive o negative che alla fine provocano. Se per esempio vogliamo beni materiali più costosi e li vogliamo per un atteggiamento mentale che ci spinge a desiderare sempre più cose, alla fine raggiungeremo il limite di quanto è possibile acquisire e ci scontreremo con la realtà. Quando si raggiunge tale limite si perdono tutte le speranze e si precipita nella depressione e in altri mali. Questo è uno dei pericoli insiti in questo tipo di desiderio.
 "Penso dunque che il desiderio smodato conduca all'avidità, a una forma di brama che si basa su aspettative troppo grandi. Se si riflette sui suoi eccessi, si scoprirà che l'avidità procura all'individuo frustrazione, delusione e grande confusione, nonchè tanti problemi. L'avidità ha una caratteristica peculiare: benchè si manifesti come desiderio di ottenere qualcosa, non viene soddisfatta dal conseguimento dell'obiettivo. Perciò diventa in un certo modo illimitata, quasi senza fondo, il che genera problemi. L'avidità, ripeto, ha una proprietà curiosa, che suona ironica: per quanto si basi sulla ricerca di soddisfazione, anche dopo l'acquisizione dell'oggetto desiderato non dà contentezza. Il vero antidoto all'avidità è l'appagamento. Se abbiamo un forte senso di appagamento, non ci importa di ottenere o meno l'oggetto; in un modo o nell'altro, siamo ugualmente soddisfatti".

In quale maniera, dunque, possiamo pervenire all'appagamento interno? I metodi sono due. Il primo è ottenere tutto quanto vogliamo e desideriamo: soldi, case, auto, partner perfetto e corpo perfetto. 
Il Dalai Lama ha sottolineato lo svantaggio di tale approccio: se le nostre voglie e i nostri desideri sono incontrollati, prima o poi scopriremo di volere qualcosa che non possiamo avere. 
Il secondo metodo, quello affidabile, consiste non tanto nell'ottenere ciò che vogliamo, quanto nel volere e apprezzare ciò che abbiamo.

mercoledì 18 settembre 2013

La felicità, l'adattamento e lo stato mentale

Da L'arte della felicità del Dalai Lama con H.C.Cutler

"Due anni fa una mia amica ebbe un inaspettato colpo di fortuna. Diciotto mesi prima di quel lieto momento, aveva lasciato il suo impiego di infermiera per andare a lavorare in un piccolo centro sanitario fondato da due suoi amici. Il centro prosperò in maniera incredibile e nel giro di un anno e mezzo fu rilevato da una grande conglomerata per una somma enorme. Poichè fin dall'inizio era entrata nella nuova struttura come socia, dopo l'acquisizione la mia amica si ritrovò con così tanti diritti di opzione che potè andare in pensione all'età di trentadue anni. La vidi non molto tempo fa e le chiesi se si stesse godendo il tempo libero. "Be'" disse "è fantastico poter viaggiare e fare le cose che ho sempre desiderato fare. Ma è strano: dopo il primo, grande entusiasmo per aver guadagnato tutti quei soldi, oggi, in un certo senso, sono tornata alla normalità. E' vero che le cose sono diverse, perchè mi sono comprata una casa nuova e via dicendo, ma nel complesso non credo di essere molto più felice di prima." Quasi nello stesso periodo in cui lei si era ritrovata ricca per quel colpo di fortuna, un mio amico suo coetaneo scoprì di essere sieropositivo. "E' chiaro che all'inizio è stato un colpo durissimo" mi disse quando parlammo del modo in cui aveva affrontato la sua condizione. "Mi ci sono voluti molti mesi solo per accettare l'idea di avere contratto il virus. Ma nel corso di quest'ultimo anno le cose sono cambiate. Mi sembra di ricavare da ciascun giorno più di quanto avessi mai ricavato in  precedenza, e in questo mio vivere alla giornata mi sento più felice di quanto fossi mai stato prima. Mi sembra di apprezzare tutto di più a ogni momento che passa: sono contento di non avere ancora avuto gravi sintomi di AIDS conclamata e di poter gustare fino in fondo le cose che ho. E anche se preferirei non aver contratto il virus, devo ammettere che questa condizione ha impresso in certo senso alla mia vita delle svolte... positive."
"Quali?" chiesi.
"Be', saprai per esempio che sono sempre stato un incallito materialista. Ma in quest'ultimo anno, il dover realizzare e accettare la mia natura mortale mi ha disvelato un mondo nuovo. Per la prima volta nella vita ho cominciato a esplorare la spiritualità, a leggere molti libri sul tema e a parlare con persone... E ho scoperto in questo modo tante cose su cui prima non avrei mai pensato di riflettere. Mi riempie di entusiasmo anche il solo alzarmi la mattina, il solo aspettare quello che mi porterà la giornata."

Il caso di queste due persone illustra un concetto essenziale: la felicità è determinata più dallo stato mentale che dagli eventi esterni. Un grande successo può produrre una temporanea sensazione di euforia e una tragedia può precipitarci in un periodo di depressione, ma prima o poi il livello generale dell'umore tende a tornare al valore di base. Gli psicologi chiamano tale processo adattamento.

Se dunque è vero che, indipendentemente dalle condizioni esterne, tendiamo ad avere un livello base di felicità, che cosa determina tale valore? Secondo indagini recenti, il grado quotidiano di benessere di un individuo avrebbe, almeno fino ad un certo punto, origine genetica. Tuttavia, benché il corredo genetico svolga forse un ruolo nella felicità, quasi tutti gli psicologi convengono che, a prescindere dal livello di contentezza di cui ci ha dotato la natura, possiamo intervenire non poco sul "fattore mentale" per rafforzare il nostro senso di soddisfazione. La felicità quotidiana, infatti, è in gran parte determinata dalla nostra visione delle cose, dal modo in cui si percepisce la situazione, da quanto si è soddisfatti di quel che si ha.


Epicuro - Lettera a Meneceo

"L'uomo cominci da giovane a far filosofia e da vecchio non sia mai stanco di filosofare. Per la buona salute dell'animo, infatti, nessun uomo è mai troppo giovane o troppo vecchio. Chi dice che il giovane non ha ancora l'età per far filosofia, e che il vecchio l'ha ormai passata, è come se dicesse che non è ancora giunta, o è già passata, I'età per essere felici. Quindi sia l'uomo giovane che il vecchio devono far filosofia: il vecchio perché invecchiando rimanga giovane per i bei ricordi del passato; il giovane perché, pur restando giovane d'età, sia maturo per affrontare con coraggio l'avvenire. E' bene riflettere sulle cose che possono farci felici: infatti, se siamo felici abbiamo tutto ciò che occorre; se non lo siamo, facciamo di tutto per esserlo.
Metti in pratica le cose che ti ho sempre raccomandato e rifletti su di esse, perché sono i princìpi necessari fondamentali per una vita felice.
Per prima cosa tu devi considerare la divinità come un essere indistruttibile e felice, così come comunemente gli uomini pensano degli dèi; non attribuire quindi nulla alla divinità che contrasti con la sua immortalità e la sua beatitudine, e ritieni vero invece tutto ciò che ben si accorda con la sua felice immortalità.
Gli dèi infatti esistono, ed è del tutto evidente la conoscenza che ne abbiamo; ma gli uomini attribuiscono agli dèi caratteristiche contrarie alla stessa idea che se ne fanno. Negare gli dèi in cui credono gli uomini, non è quindi empietà. Empietà è piuttosto attribuire agli dèi le idee che gli uomini comunemente se ne fanno, perché non sono idee corrette, ma gravi errori. Dall'idea che si fa degli dèi l'uomo trae i più gravi danni e vantaggi. Infatti gli dèi, che di continuo sono dediti alle loro virtù, accolgono i loro simili, mentre considerano estraneo tutto ciò che non è simile ad essi.
Abìtuati a pensare che per noi uomini la morte è nulla, perché ogni bene e ogni male consiste nella sensazione, e la morte è assenza di sensazioni. Quindi il capir bene che la morte è niente per noi rende felice la vita mortale, non perché questo aggiunga infinito tempo alla vita, ma perché toglie il desiderio dell'immortalità. Infatti non c'è nulla da temere nella vita se si è veramente convinti che non c'è niente da temere nel non vivere più. Ed è sciocco anche temere la morte perché è doloroso attenderla, anche se poi non porta dolore. La morte infatti quando sarà presente non ci darà dolore, ed è quindi sciocco lasciare che la morte ci porti dolore mentre l'attendiamo. Quindi il più temibile dei mali, la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c'è la morte, quando c'è la morte non ci siamo più noi. La morte quindi è nulla, per i vivi come per i morti: perché per i vivi essa non c'è ancora, mentre per quanto riguarda i morti, sono essi stessi a non esserci.
La maggior parte delle persone, però, fuggono la morte considerandola come il più grande dei mali, oppure la cercano come una liberazione dai mali della vita. Il saggio invece non rifiuta la vita e non ha paura della morte, perché non è contro la vita ed allo stesso tempo non considera un male il non vivere più. Il saggio, così come non cerca i cibi più abbondanti, ma i migliori, così non cerca il tempo più lungo, ma cerca di godere del tempo che ha. è da stolti esortare i giovani a vivere bene ed i vecchi a morire bene, perché nella vita stessa c'è del piacere, ed è la stessa cosa l'arte di vivere bene e di morire bene.
Certo, è peggio chi dice: è bello non esser mai nati "ma, se si è nati, è bello passare al più presto le soglie dell'Ade". Se chi dice queste cose ne è convinto, perché non abbandona la vita'? è in suo potere farlo, se questa è la sua opinione e parla seriamente. Se invece scherza, parla da stolto su cose su cui non c'è proprio da scherzare.
Dobbiamo inoltre ricordarci che il futuro non è interamente nelle nostre mani, ma in qualche modo lo è, anche se in parte. Quindi non dobbiamo aspettarci che si avveri del tutto, ma non dobbiamo neppure disperare che esso non si avveri affatto.
Dobbiamo poi pensare che alcuni dei nostri desideri sono naturali, altri vani. E di quelli naturali alcuni sono necessari, altri non lo sono. E di quelli naturali e necessari, alcuni sono necessari per essere felici, altri per la buona salute del corpo, altri per la vita stessa. Una sicura conoscenza dei desideri naturali necessari guida le scelte della nostra vita al fine della buona salute del corpo e della tranquillità dell'animo, perché queste cose sono necessarie per vivere una vita felice. Infatti noi compiamo tutte le nostre azioni al fine di non soffrire e di non avere l'animo turbato. Ottenuto questo, ogni tempesta interiore si placherà, perché il nostro animo non desidera nulla che gli manchi, né ha altro da cercare perché sia completo il bene dell'anima e del corpo. Abbiamo infatti bisogno del piacere quando soffriamo perché esso non c'è. Quando non soffriamo, non abbiamo neppure bisogno del piacere.
Per questo motivo noi diciamo che il piacere è il principio ed il fine di una vita felice. Noi sappiamo che esso è il bene primo, connaturato con noi stessi, e da esso prende l'avvio ogni nostra scelta e in base ad esso giudichiamo ogni bene, ponendo come norma le nostre affezioni. Ma proprio perché esso è il bene primo ed è a noi connaturato, noi non ci lasciamo attrarre da tutti i piaceri; al contrario, ne allontaniamo molti da noi quando da essi seguano dei fastidi più grandi del piacere stesso. Allo stesso modo consideriamo molti dolori preferibili ai piaceri quando la scelta di sopportare il dolore porta con sé come conseguenza dei piaceri maggiori. Tutti i piaceri quindi che per loro natura sono a noi congeniali sono certamente un bene; tuttavia non dobbiamo accettarli tutti. Allo stesso modo tutti i dolori sono un male, ma non dobbiamo cercare di sfuggire a tutti loro. Queste scelte vanno fatte in base al calcolo ed alla valutazione degli utili. Per esperienza sappiamo infatti che a volte il bene è per noi un male ed al contrario il male è un bene. Consideriamo un grande bene l'indipendenza dai desideri non perché sia necessario avere sempre soltanto poco, ma perché se non abbiamo molto sappiamo accontentarci del poco. Siamo profondamente convinti che gode dell'abbondanza con maggiore dolcezza chi meno ha bisogno di essa e che tutto ciò che la natura richiede lo si può ottenere facilmente, mentre ciò che è vano è difficile da ottenere. Infatti, in quanto entrambi eliminano il dolore della fame, un cibo frugale o un pasto sontuoso danno un piacere eguale, e pane e acqua danno il piacere più pieno quando saziano chi ha fame. L'abituarsi ai cibi semplici ed ai pasti frugali da un lato è un bene per la salute, dall'altro rende l'uomo attento alle autentiche esigenze della vita; e così quando di tanto in tanto ci capita di trovarci nell'abbondanza, sappiamo valutarla nel suo giusto valore e sappiamo essere forti nei confronti della fortuna.
Quando dunque diciamo che il piacere è il bene completo e perfetto, non ci riferiamo affatto ai piaceri dei dissoluti, come credono alcuni che non conoscono o non condividono o interpretano male la nostra dottrina; il piacere per noi è invece non avere dolore nel corpo né turbamento nell'anima.
Infatti non danno una vita felice né i banchetti né le feste continue, né il godersi fanciulli e donne, né il godere di una lauta mensa. La vita felice è invece il frutto del sobrio calcolo che indica le cause di ogni atto di scelta o di rifiuto, e che allontana quelle false opinioni dalle quali nascono grandissimi turbamenti dell'animo.
La prudenza è il massimo bene ed il principio di tutte queste cose. Per questo motivo la prudenza è anche più apprezzabile della filosofia stessa, e da essa vengono tutte le altre virtù. Essa insegna che non ci può essere vita felice se non è anche saggia, bella e giusta; e non v'è vita saggia, bella e giusta che non sia anche felice. Le virtù sono infatti connaturate ad una vita felice, e questa è inseparabile dalle virtù.
E adesso dimmi: pensi davvero che ci sia qualcuno migliore dell'uomo che ha opinioni corrette sugli dèi, che è pienamente padrone di sé riguardo alla morte, che sa sino in fondo che cosa sia il bene per l'uomo secondo la sua natura e sa con chiarezza che i beni che ci sono necessari sono pochi e possiamo ottenerli con facilità, e che i mali non sono senza limiti, ma brevi nel tempo oppure poco intensi?
Un uomo così ha imparato a sorridere di quel potere - il fato - che per alcuni è il sovrano assoluto di tutto: di fatto ciò che accade può essere spiegato non soltanto attraverso la necessità, ma anche attraverso il caso o in quanto frutto di nostre decisioni per le quali possiamo essere criticati o lodati.
Quanto al fato, di cui parlano i fisici, era meglio credere ai miti sugli dèi che essere schiavi di esso: i miti infatti permettevano agli uomini di sperare di placare gli dèi per mezzo degli onori, il fato invece ha un'implacabile necessità. E riguardo alla fortuna non bisogna credere né che sia una divinità, come fanno molti - gli dèi infatti non fanno nulla che sia privo di ordine ed armonia - né che sia un principio causale; non bisogna neppure credere che essa dia agli uomini beni e mali che determinano una vita felice; da essa infatti provengono solo i princìpi di grandi beni e di grandi mali. E' meglio quindi essere saggiamente sfortunati che stoltamente fortunati, perché è preferibile che nelle nostre azioni una saggia decisione non sia premiata dalla fortuna, piuttosto che una decisione poco saggia sia coronata dalla fortuna.
Medita giorno e notte tutte queste cose, e ciò che è connesso con esse, sia in te stesso che con chi ti è simile: così mai, sia da sveglio che nel sonno, avrai l'animo turbato, ma vivrai invece come un dio fra gli uomini. L'uomo infatti che vive tra beni immortali non è in niente simile ad un mortale."